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Tutto quello che c’è da sapere sugli Yeti

Una foto postata dall’esercito indiano, speculando sull’esistenza degli Yeti – mostruose creature umane o simili a scimmie che vivono nella natura selvaggia – ha di nuovo acceso l’interesse del pubblico per il fenomeno.

Ma cos’è di queste creature leggendarie, che spinge decine e decine di persone, anno dopo anno, a sostenere di averle viste o addirittura spinge alcuni ad avventurarsi sull’Himalaya per cercarle? C’è mai stata qualche prova documentata che abbia legittimato gli ‘Yeti’ al di là delle bufale e della pseudoscienza che naturalmente dominano questi avvistamenti? È un uomo? È un orso? È una scimmia? O una specie di umanoide misto? Come un uomo-orso-scimmia?

Per rispondere a queste e altre domande scottanti, DH analizza lo “Yeti”.

Folklore e miti tradizionali
I miti sulla sua origine e le storie di avvistamenti dello Yeti risalgono a diversi secoli fa, alle civiltà orientali pre-buddiste, in particolare nella regione dell’Himalaya. Alcuni primi indigeni dell’Himalaya avrebbero venerato questa creatura “avvistata”, chiamandola “Essere del ghiacciaio”.

Ci sono diversi nomi locali per gli “Yeti” in nepalese e bhutanese. Alcuni esempi sono:

Yeti come Meh-Teh (uomo-orso)
Kang-mi (uomo delle nevi)
Migoi (uomo selvaggio)
Bun manchi (uomo della giungla)
Interesse occidentale e nascita dell'”Abominevole uomo delle nevi”

Il primo uso del termine “Abominevole uomo delle nevi” è accreditato a Henry Newman, un collaboratore del giornale indiano in lingua inglese The Statesman, che avrebbe ottenuto descrizioni dello “Yeti” dai resoconti dello scalatore ed esploratore Charles Howard-Bury, che guidò la famosa spedizione britannica di ricognizione del Monte Everest nel 1921.

Newman, tuttavia, è accreditato con un errore di traduzione che lo ha portato a chiamare la creatura “abominevole.”

Un esempio ancora precedente della speculazione dell’esistenza di una tale creatura è accreditato a B H Hodgson che nel 1832 avrebbe incontrato un “torreggiante non umano coperto dalla testa ai piedi di capelli scuri”, che fuggì dopo essere stato avvistato.

Hodgson liquidò l’avvistamento come un “orango” mentre scriveva su The Journal of the Asiatic Society of Bengal.

Ma tutto cambiò nel 1951 dopo che l’alpinista Eric Shipton scattò una fotografia reale di una presunta impronta di Yeti alla base del Monte Everest. Che ci crediate o no, ma Sir Edmund Hillary, ampiamente accreditato per essere il primo uomo a scalare il Monte Everest (vedi anche: George Mallory), guidò una spedizione di caccia allo Yeti in Nepal ed è accreditato per aver fotografato misteriose impronte e soprattutto per aver recuperato uno scalpo vecchio di 240 anni, presumibilmente appartenente a (o così si pensava all’epoca) a (Sì! Avete indovinato) – uno Yeti.

Purtroppo per Hillary, è stato poi dimostrato che era di un serow, un animale simile alla capra. Ma all’epoca, la mancanza di prove scientifiche sufficienti non ha scoraggiato la stampa, dato che il tabloid britannico Daily Mail ha prontamente sponsorizzato diverse spedizioni dell'”Abominevole Uomo delle Nevi”.


Presto, come accade per queste cose, Hollywood è stata coinvolta.

Il noto regista di B-movie W Lee Wilder ha pubblicato “LA CREATURA DELLA NEVE” nel 1954.
E poco dopo, questo fu superato da ‘THE ABOMINABLE SNOWMAN’ nel 1957.

Dal settembre 1958 al novembre 1959, l’amato personaggio dei fumetti Tintin incontrò la mitica bestia nella rivista che fu compilata e pubblicata come libro nel 1960 dal titolo ‘Tintin in Tibet’.

Quindi il tuo amico dice di aver avvistato uno Yeti? È troppo presto per farlo internare?

Con l’aumentare degli avvistamenti nei decenni successivi, il mito dello Yeti si rafforzò con più “prove” offerte sotto forma di impronte, racconti di testimoni oculari, foto sgranate e filmati fai da te.

In effetti, nella realizzazione del turismo criptozoologico che il fenomeno Yeti avrebbe offerto, i governi degli Stati Uniti e del Nepal lavorarono insieme nel 1959 per regolamentare la caccia allo Yeti.

Quale regolamentazione? Vi starete chiedendo. Sono tre:

  1. No money, no Yeti

“Una royalty di Rs 5.000 in valuta indiana dovrà essere pagata al governo di Sua Maestà del Nepal per un permesso di effettuare una spedizione alla ricerca dello ‘Yeti’.”

  1. Non uccidere nessuno Yeti, a meno che non attacchi per primo
    “Nel caso in cui lo Yeti venga rintracciato può essere fotografato o catturato vivo, ma non deve essere ucciso o colpito se non in caso di emergenza per autodifesa. Tutte le fotografie scattate all’animale, la creatura stessa se catturata viva o morta, devono essere consegnate al governo del Nepal al più presto.”

  2. Non dirlo alla stampa
    “Notizie e rapporti che fanno luce sull’effettiva esistenza della creatura devono essere presentati al governo del Nepal non appena sono disponibili e non devono in alcun modo essere dati alla stampa o ai giornalisti per pubblicità senza il permesso del governo del Nepal.”

La Scozia, secondo quanto riferito, guadagna circa 60 milioni di sterline all’anno solo dal turismo del mostro di Loch Ness, secondo Forbes, ma non c’è nessuna parola ufficiale sul tipo di turismo che la caccia allo Yeti porta al Nepal o al Tibet.

Ma perché la gente crede ancora nello sfuggente ‘Yeti’ anche se la scienza moderna lo ha sfatato, più volte?

Per le persone in queste situazioni, credere in un criptide – un animale la cui esistenza o sopravvivenza è contestata o non dimostrata, è un modo di dare un senso a ciò che li circonda e nel processo, sono immersi e parte del folklore, della mitologia e del gossip della zona tanto quanto il criptide stesso.
La ricerca scientifica: Non solo Yeti

Forse la più grande sfida al mito dello Yeti è arrivata nel 2017 con la pubblicazione di un documento scientifico intitolato “Evolutionary history of enigmatic bears in the Tibetan Plateau-Himalaya Region and the identity of the Yeti.”

Il documento pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society B ha riportato i risultati dell’analisi del DNA di nove esemplari di ‘Yeti’. Dei nove raccolti e analizzati da loro, uno apparteneva a un cane, e gli altri otto a una delle tre specie di orso – orso nero asiatico, orso bruno dell’Himalaya o orso bruno del Tibet.

“Questo studio rappresenta l’analisi più rigorosa fino ad oggi di campioni sospettati di derivare da creature anomale o mitiche ‘ominidi’”, hanno scritto i ricercatori nel documento.

“I nostri risultati suggeriscono fortemente che le basi biologiche della leggenda dello Yeti possono essere trovate negli orsi locali, e il nostro studio dimostra che la genetica dovrebbe essere in grado di svelare altri misteri simili … Ulteriori ricerche genetiche su questi animali rari e sfuggenti possono contribuire a illuminare la storia ambientale della regione, così come la storia evolutiva degli orsi in tutto il mondo – e ulteriori campioni ‘Yeti’ potrebbero contribuire a questo lavoro,” ha detto gli scienziati dietro il lavoro.