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Gli anni venti sono spesso chiamati l’età del jazz. In che misura i romanzi e lo stile di vita di F. Scott Fitzgerald riflettono o definiscono questa etichetta?

Gli anni Venti sono spesso chiamati l’Età del Jazz. In che misura i romanzi e lo stile di vita di F. Scott Fitzgerald riflettono o definiscono questa etichetta?

Nel suo libro sulla cultura americana degli anni venti, Lynn Dumenil afferma che un’immagine chiave del periodo era quella di condurre “una vita veloce, spinta dalla ricchezza e da valori sociali in rapido cambiamento” (Dumenil 1995: 7). Questo non è del tutto vero. Infatti, gli anni ’20, conosciuti anche come “l’età del jazz” furono un decennio di contraddizioni: c’erano progresso e prosperità da una parte e depressione e isolamento dall’altra. Il suffragio femminile e il Prohibition Act, entrambi approvati nel 1919, sono in qualche modo una caratteristica introduzione ai successivi dieci anni di contraddizioni della storia americana. Uno degli scrittori più noti del decennio, F. Scott Fitzgerald, nato il 24 settembre 1896 a St. Paul, Minnesota, celebrò la sua svolta dopo l’uscita del suo primo romanzo This Side of Paradise nel 1920 (Bruccoli 1981:13). Il suo successo arrivò letteralmente da un giorno all’altro e da quel momento la sua vita cambiò completamente (Allen 1931:90). Anche se faceva parte della generazione del divertimento, così tipica degli anni venti, incarnava anche le caratteristiche di un moralista (Boyer 2009: 546). La vita di Fitzgerald è stata costellata di alti e bassi e alla fine degli anni ’20 ha causato la sua stessa caduta. Considerando le informazioni storiche e biografiche, questo saggio fornirà una risposta alla seguente domanda: In che misura i romanzi e lo stile di vita di F. Scott Fitzgerald riflettono o definiscono l’Età del Jazz?

Ci sono molte definizioni del termine jazz, e proprio a metà degli anni Venti, J. A. Rogers ne formò una. Egli affermò che “il vero spirito del jazz è una gioiosa rivolta contro le convenzioni, l’abitudine, l’autorità, la noia, persino il dolore contro tutto ciò che confinerebbe l’anima dell’uomo e le impedirebbe di cavalcare libera nell’aria” (Rogers 1925: 665). Questa frase descrive non solo lo spirito del jazz, ma anche ciò che era l’Età del Jazz. In generale, l’età del jazz si estendeva tra le rivolte del May Day nel 1919 e il crollo della borsa nel 1929. Ancora stufa degli eventi della prima guerra mondiale, la generazione dell’età del jazz non mostrava alcun interesse per la politica (Fitzgerald 1931: 130). Anche se la vita quotidiana delle classi medie e superiori bianche urbane si trasformò immensamente grazie alle nuove invenzioni tecnologiche come automobili, ferri da stiro elettrici, frigoriferi e radio, non era la regola (Dumenil 1995: 6). Infatti, c’erano due facce della medaglia. L’americano medio conduceva una vita molto più modesta e i contadini non si ripresero mai dalla depressione del dopoguerra (Dumenil 1995: 8). Tra questo gruppo svantaggiato c’erano anche operai industriali, neri, ispanici e immigrati recenti la cui principale intenzione era quella di mantenere la loro sopravvivenza economica (Boyer 2009: 545). Quindi, oltre all’ottimismo derivante da un’economia prospera, c’erano ancora componenti negative che rendevano gli anni ’20 anche un decennio di isolamento e negativismo. Il Red Scare, l’ascesa del Ku Klux Klan e il proibizionismo formarono quella controparte (Dumenil 1995: 152).